di Scott Cooper — USA, 2025, 120 minuti
Biografico, Drammatico
Con Jeremy Allen White, Jeremy Strong, Paul Walter Hauser, Stephen Graham, Odessa Young.
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Trama
1981. Bruce Springsteen è reduce dal successo del River Tour che l'ha reso celebre ben oltre il nativo New Jersey, e la sua casa discografica vorrebbe subito un nuovo LP per "battere il ferro finché è caldo". Ma lui è in piena crisi, dovuta in parte al senso di colpa nell'allontanarsi dalle sue origini e lasciarsi alle spalle quel mondo proletario di diner, flipper e casette di periferia, in parte al rapporto conflittuale con un padre che alzava il gomito e menava le mani.
Ovunque lo seguono l'ombra scura che gli sta alle calcagna e quel vuoto dentro del quale non riesce a liberarsi se non quando, in una stanza del suo modesto appartamento, compone i brani che faranno parte del suo LP meno noto e più rispettato - Nebraska - ben lontani da ciò che la casa discografica si aspetta. Bruce vorrà che siano masterizzati esattamente come li ha registrati su un'audiocassetta (priva di custodia), e non vorrà fare tour, singoli o interviste: nemmeno mettere il suo viso sulla copertina.
Recensione
Springsteen - Liberami dal nulla sceglie un momento particolare della vita e carriera del Boss per raccontare lo smarrimento identitario di un uomo e un artista che ha sempre avuto come priorità quella di non tradire se stesso.
Ad assisterlo è il manager e produttore discografico Jon Landau che, pur comprendendo le esigenze della casa cinematografica, crede nell'onestà artistica di Springsteen. E Bruce, a 32 anni, rimane ferocemente attaccato alla sua verità e cerca la sua strada, anche se su di lui grava quella forma depressiva che lo accompagnerà per tutta la vita, e che affonda le radici nella sua infanzia tormentata.
Jeremy Allen White (interprete di tutte le canzoni in scena) si cala nel tormento di Springsteen veicolando anche quello del Carmy Berzatto della serie The Bear e del Lip Gallagher di Shameles, trasformandosi letteralmente nel Boss nelle scene di concerto dove ne riproduce la gestualità e le smorfie tirate, mentre in quelle più intime evita di imitare il cantautore, concentrandosi sul metterne a nudo l'anima. Jeremy Strong è formidabile nel ruolo di Jon Landau, e si vorrebbe che il film rimanesse più a lungo sul rapporto fra i due uomini, nonché sulla chimica fra i due attori. Stesso dicasi per White e Stephen Graham, l'attore che interpetra il padre di Bruce.
La tensione della trama si diluisce invece nelle scene che illustrano la storia sentimentale con Faye, madre single e cameriera del New Jersey cui Bruce non riesce a promettere un futuro, che appaiono superflue perché l'arco drammaturgico riguarda palesemente l'identità artistica del protagonista, più che la sua disponibilità emotiva ad intraprendere una relazione: ben più coinvolgenti infatti sono le scene che ripercorrono la creazione di alcuni dei brani dell'album Nebraska.
Il regista Scott Cooper evita saggiamente l'agiografia e gestisce bene l'alternanza fra arte e vita, facendo del suo film una ballata folk su un performer che ha sempre incarnato una parte ben precisa dell'identità statunitense: quella diseredata, blue collar, schietta e genuina. Il suo Bruce corrisponde al suono malinconico della sua armonica e a quella camminata sghemba che sa di solitudine, combatte con il fantasma del Male che si insinua nelle case della gente perbene e che demolisce ogni certezza.